lunedì 13 luglio 2015

La Vecchia Chiesa di San Modesto

Molti mi chiedono e si chiedono dove era situata con precisione la Vecchia Chiesa di San Modesto.  
Per la ripida rampa, a sinistra   delle Orsoline, scendendo giù nella via G.B. Bosco Lucarelli, già via San Modesto. Sulla pianura, in fondo alla piazzetta, si elevava la parrocchia di San Modesto.
Verso il 649, Duda Parda, nobil dama Beneventana, fece erigere in onore di San Modesto, una chiesa per depositare il sacro corpo, donato da papa S. Gregorio al duca longobardo Arechi. Vi eresse quindi, al lato, anche un monastero di Benedettini, del quale fu primo abate Bentogrado o Bentigrado, zio del duca  Grimoaldo, che divenne poi , re d' Italia. Il tutto occupava un' area molto vasta della zona , infatti si protraeva fino alla Calata Olivella. L'Abazia aveva stemma proprio e gli abati ebbero molta autorità in Benevento e dovunque.
Tutta la costruzione è scomparsa definitivamente quando alla Società Elettrica del Sannio le fu concesso di abbattere il tutto per costruirvi la sua Officina e gli uffici di amministrazione.
Dalla Chiesa di San Modesto aveva inizio la cosiddetta Città Nuova (Triggio) che si protraeva fino a Port'Arsa, fatta costruire  dai Longobardi e racchiusa nelle mura disegnate da Arechi, includendo anche il Teatro Romano. Fu appellata Nuova per distinguerla dalla Vecchia, esistita all'epoca Romana sullo stesso posto. Il Triggio era uno dei posti più caratteristici di Benevento formato da casupole con piccole finestre e balconcini, con scalette esterne, vicoli angusti e semi oscuri, dove viveva il Popolo sempre allegro e spensierato. Qua e là slarghi e piazzette dove si riunivano le persone sempre festanti. Solo gli "stranieri" del rione non venivano visti di buon occhio e se qualcuno suo malgrado era costretto a passare per quei vicoli diveniva oggetto di fischi e pernacchie, a tal proposito c'è un vecchio proverbio Beneventano che dice:  Chi passa p' 'u triggio e nunn' è criticato, 'e triggiaiuole o stanno 'ncarcerate o stanno màlate.


venerdì 10 luglio 2015

Civiltà Contadina Beneventana.....La Stalla

Si provi ad immaginare: un ampio locale , un asino, alcune pecore, qualche mucca, del letame, un po' di paglia, alcuni scanni, un lume.....era la Stalla. Unico locale riscaldato. Luogo di incontro serale delle famiglie contadine durante la stagione invernale. A riscaldare l'ambiente c'era il fiato degli animali. A illuminarlo, la scarsa e tremolante luce di un lume a olio. Nelle cucine delle case i focolari si spegnevano per risparmiare la legna. Nelle case non c'erano i servizi igienici: di giorno e di sera sotto un albero, di notte nel pitale , che di solito stazionava sotto il letto, o nella Stalla, un sasso liscio o una foglia sostituivano la carta igienica.
Mentre fuori a volte infuriava la tempesta o la nebbia avvolgeva la casa, dentro la stalla, le persone lavoravano, parlavano, si conoscevano meglio e, tutte insieme recitavano il Rosario.
Si sedevano sul fieno, sulla paglia, sugli scanni o sui ceppi. Le fessure delle finestre e delle porte erano tappate con vecchi stracci o addirittura con del letame fresco.
Nella Stalla i giovani fumavano sigarette fatte al momento e i più anziani tabacco nelle pipe di terra cotta. Seduti sugli scanni riparavano i pichi attrezzi agricoli, aggiustavano e impagliavano le sedie rotte, costruivano scope per la casa e per l' aia, preparavano fascetti di salici per legare le viti dopo la potatura, rifacevano i pioli alle scale, riparavano gli ombrelli. Gli uomini si riunivano a nche per giocare a carte. Il loro tavolo era una tavoletta poggiata sulle ginocchia. Fra una partita e l'altra , si parlava delle grandinate, delle semine, del raccolto, della siccità, del bestiame, delle decime da corrispondere alla chiesa, di affari....di ricordi.
Le donne giovani dipanavano matasse di lana con l'arcolaio o ricamavano pensando al domani....le più anziane filavano con la rocca e il fuso, lavoravano a maglia con i ferri, rattoppavano calze e altri indumenti, preparavano materassi da riempire con le foglie secche del granturco, pregavano, dopo aver raccontato favole e favole ai bambini che, brontolando si addormentavano sulle loro ginocchia.
I vecchi aggiustavano le scarpe, intrecciavano vimini, eseguivano tanti altri piccoli lavori, poi si assopivano.
Tutto si svolgeva in un clima di grande allegria e di intensa pluriattività. In questo modo la gente faceva conoscere le proprie speranze nei momenti buoni; comunicava le proprie ansie e i propri timori nei momenti di dolore.
I ragazzi osservavano tutto. Ascoltavano attenti. Imparavano. Per loro la Stalla era la scuola. Era l'unico luogo dove potevano prendersi un po' di svago durante il periodo invernale. Uno dei giochi preferiti era quello del testa o croce, consisteva nel gettare in aria una monetina con lo scopo di farla cadere a dritta o a rovescio a seconda quale delle due facce era stata preventivamente nominata.
Fra i presenti vi era a volte qualcuno che aveva imparato a leggere e a scrivere; aveva letto qualche romanzo o una storia d' amore; aveva annotato qualche fatto accaduto a Benevento o nelle contrade stesse e comunicava a viva voce la sua cultura alla gente presente. Così, fra lavoro, preghiera,una partita a carte, un canto o una bevuta, si inseriva con austera e solenne semplicità il racconto di vicende misteriose accadute in tempi lontani o di un fatto insolito successo durante un pellegrinaggio o di un avvenimento ancora presente e vivo nella mente di alcune persone.
Apparentemente i racconti e i canti erano in contrasto fra loro: a un racconto di tristezza seguiva un canto di gioia; a un racconto di odio si  accompagnava un canto d' amore. Alle carestie, alle malattie,alla guerra, alla morte, si alternava uno scherzo, una preghiera o un inno alla vita.
Era cultura popolare: paura e coraggio, odio e amore, morte e vita, tutto profondamente collegato e vissuto. Comprendere queste cose, viverle, voleva dire essere colti.
Memorie e cose di tale passato, di questa nosttra terra, sembrano dire ancora oggi nel loro antico linguaggio: Noi eravamo così.
Intanto il tempo trascorreva lentamente. La vita non era collegata ad orari o a scadenze, ad eccezione di quelle stagionali. C' era molta miseria, ma questa associava maggiormente la gente, le famiglie , il vicinato.

martedì 7 luglio 2015

ARTIGIANATO, COMMERCIO E TOPOGRAFIA DI BENEVENTO NEL 700

Benevento, nel  700 D.C., godeva di un grande prestigio  artigianale e commerciale, grazie ad alcuni banchieri Toscani e Amalfitani. Essi, esercitando una florida attività, formarono a Benevento una vera e propria elitè del commercio con la partecipazione di nobili e borghesi locali. Infatti, in città, vi erano molte botteghe di : falegnami, chianche (macellerie), seterie, barberie, calzolai, fabbri,maniscalchi, drogherie, ortolani, cestai, orefici ed altri.
Nella stessa epoca Benevento ospitava una comunità Ebraica che aveva il suo ghetto fra l'attuale Rocca dei Rettori e Piazza Piano di Corte con esperti tessitori che producevano manufatti. In quel periodo la città aveva un limitato territorio, formato da circa cinquantadue miglia quadrate, comprendente dieci Casali: Pastene, Montorso, Maccoli, Bagnara, Perrillo, Sciarra, San Leucio, Maccabei, Motta e Pianelli, San Marco al Monte e Sant' Angelo a Cupolo. Le zone più popolate della città erano Plano Curie (Piazza della Curia) e Burgo Portae Rufinae ( Borgo di Porta Rufina), vi erano inoltre, la Platea de Conzatoribus
(Piccola Piazza dei Conciatori), la Platea Publica recta (oggi Piazza Duomo), la Platea Publica Maior (All'altezza di Santa Sofia), la Platea in Parrocchia S. Spiritus ( Piazza Cardinal Pacca o Santa Maria), la Platea dei Calderari ( Piaza San Filippo), La Platea Episcopii ( Piazza Orsini), oltre alle vie e i Pontili (Porticati) nei quali affacciavano le botteghe. Famoso  era il Pontile de Aurificibus ( degli orefici) a via Traiano.
Il Centro Commerciale della città era piazza Duomo che arrivava fino all'odierna Piazza Papiniano sulla Strata Publica Recta Maior (oggi Corso Garibaldi).
Il Mercato Pubblico si svolgeva ad Portam Gloriosa, cioè all'incrocio di via Posillipo con Corso Vittorio Emanuele, mentre nell'atrio del Duomo si vendeva la frutta e gli ortaggi, prodotti sui terreni ecclesiastici, gravati della Decima, una tassa che consisteva nel prelevamento di un decimo del reddito, essa all'inizio veniva versata volontariamente e poi in forma obbligatoria, come contributo del fedele alla propria Parrocchia, coloro che non potevano pagare la Decima per povertà godevano ugualmente dei benefici religiosi, ma chi non era povero e si rifiutava di pagare veniva Scomunicato. Il Rettore e la Curia avevano la loro sede nell'attuale Curia, mentre gli uffici fiscali si trovavano nell'attuale Piazza Dogana.
Oltre alle attuali Chiese ve ne erano molte altre oggi scomparse, vale la pena ricordare: Chiesa di San Giovanni, Di San Nicola (distrutta dal terremoto del1688), di San Giorgio a Porta Rufina, di San Vittorino,di San Potito, di Sant' Erasmo,di San Mauro, di Sant'Angelo, di San Paolo, di Santa Maria de Zitis e la Vecchia chiesa di San Modesto nei pressi dell'Arco del Sacramento all'altezza della Calata Olivella.
In città si entrava attraverso Porte importanti quali:Port'Aurea (Arco di Traiano), Porta Rufina, Port'Arsa, Porta Gloriosa, Porta Somma, Porta San Lorenzo o si entrava attraverso Purtusilli quali:Porta Scannelli nei pressi di Porta Somma, Porta Tanicari nei pressi del Triggio, Porta S. Ornato, Porta San Modesto, Porta San Potito, Porta Viscardi, Porta ad Sbarram.
quest'ultima era situata all'ingresso della città nei pressi della Rocca dei Rettori e vi si pagava la Cofra ( Dogana) su ogni tipo di mercanzia che entrava in città, secondo il Rerum Venalium ( Tariffario) fissato dal Rettore Besazzon.